Ladro di montagne : Ignazio Piussi : montanaro, alpinista, esploratore by Nereo Zeper

Ladro di montagne : Ignazio Piussi : montanaro, alpinista, esploratore by Nereo Zeper

autore:Nereo Zeper [Zeper, Nereo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Alpinismo
pubblicato: 1996-12-31T23:00:00+00:00


IL MONTE BIANCO

In quel luglio del 1961 - poco prima che Ignazio partisse per Chamonix - si era consumata sulle pendici del Monte Bianco una delle più impressionanti tragedie che la storia dell'alpinismo ricordi: tanto più impressionante perché era seguita a una lunga estenuante lotta tra alcuni dei più valenti alpinisti del momento e la bufera. Nel tentativo di salire il Monte Bianco per il Pilone centrale di Frêney, Walter Bonatti, Roberto Gallieni, Robert Guillaume, Pierre Kohlman, Pierre Mazeaud, Andrea Oggioni e Antoine Vieille erano stati colti dal maltempo. Avevano bivaccato per due notti alla base della “Chandelle” - il monolito strapiombante e levigato che spicca dalla parte superiore del Pilone; poi, in quell'inferno di neve e di vento, avevano cominciato la ritirata. Dopo altri due bivacchi nella bufera, prima Guillame, Oggioni e Vieille sul ghiacciaio di Frêney, poi Kohlman su quello di Châtelet avevano trovato la morte per sfinimento. Solo Bonatti, Galliani e Mazeaud erano riusciti a scendere al rifugio Gamba e si erano salvati.

La disgrazia aveva suscitato un'impressione profonda, ma sollevato anche un turbine insensato di polemiche, di più o meno velate accuse, di indignazioni fuori luogo. Per molto tempo ancora si cercarono responsabili, si valutarono scelte, comportamenti, opportunità: si fece di tutto insomma fuorché onorare col silenzio i morti e la sofferenza dei vivi.

L'accanimento nelle polemiche e i lunghi, infiniti strascichi giornalisti e pseudoletterari non possono non far pensare che già allora era presente quel fenomeno che più tardi sarebbe diventato una costante nella cultura dei nostri mass media: l'incapacità di convivere con l'ineluttabile - soprattutto quando questo si manifesta come dolore, tragedia, morte. Già allora pareva inconcepibile che non ci fosse un responsabile, che la cosa non si sarebbe potuta evitare, che qualcuno non si fosse comportato male.

Oggi poi che questo comportamento ha assunto dei risvolti quasi isterici, un responsabile deve esserci sempre a tutti i costi, anche dove non c'è; e dev'essere questo o quell'uomo, questa o quella sua mancanza ad aver causato l'incidente.

Il fatto è che oggi, venuto meno il sentimento religioso che attribuiva alla volontà di Dio le sventure degli uomini, si vorrebbe vedere ogni cosa sotto il nostro dominio, e ci si rifiuta di ammettere invece che tanta parte del nostro destino ci sfugge. Ci si vuole illudere che, programmando tutto esattamente ed evitando ogni errore, la vita scorrerebbe felice e priva di momenti tragici; e si manifesta così la profonda incapacità di concepire il ‘male’ come qualche cosa di inerente all'ordine stesso delle cose.

E’ un titanismo fragile questo, perché invece l'alpinista sale, rischia e a volte muore: e non c'è altro.

Il Pilone, dunque, era lì: inaccesso e formidabile; massimo rappresentante del genere di pareti con cui si misurava l'alpinismo di allora. Attirava tutti con i suoi cinquecento metri di rocce levigate e svettanti, culminanti nel monolito sommitale della Chandelle, più gli altri trecento per arrivare sulla cresta del Monte Bianco di Courmayeur. Fosse timore riverenziale o rispetto per i morti recenti, ancora nessuno ci aveva riprovato. Certo erano passate appena tre settimane, ma in quegli anni la corsa a realizzare certe imprese non prevedeva tempi lunghi.



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